Intervista a Vittoria Maniglio
Proseguiamo il nostro progetto #sestascena con l 'interssante intervista fatta a Vittoria Maniglio danzatrice, coreografa, docente e organizzatrice che nel giungo 2018 ha vinto il premio della critica al Festival Ballet-ex 2018 . Buona lettura a tutti!
La danza nella cultura pop....
Come nasce il suo percorso di insegnante - coreografa?
Mi sono formata alla Martha Graham Dance School di New York, avevo diciannove anni e tutto da imparare. Ho studiato tantissimo per due anni e mezzo (tecnica e repertorio Graham, classico, yoga, pilates, Feldenkrais), ma la cosa più importante è stato imparare a stare in sala: quando ti trovi a studiare accanto ai danzatori della compagnia Graham, che sembrano degli dei, e devi partire con uno di loro in diagonale, per esempio, impari delle cose che non ti insegneranno in nessuna accademia o corso che si voglia.
Tornata in Italia ho avuto diverse esperienze come danzatrice e performer per altri coreografi e registi: ho sempre prediletto delle piccole realtà, indipendenti e ancora in divenire. I mezzi erano pochi, ma l'entusiasmo tanto, si lavorava senza sosta, non solo per imparare dei passi, ma per portare avanti dei progetti. Parallelamente ho sempre continuato a studiare, all'università, il DAMS di Roma, e poi biomeccanica teatrale, voce, scegliendo sempre le eccellenze del settore.
Sono arrivata a un passo dall'entrare in una grandissima compagnia di teatro e danza, ma dove c'è il potere, purtroppo, quasi sempre c'è tanta corruzione, e siccome non ho mai accettato alcun compromesso nella mia vita, ho voltato i tacchi e me ne sono andata. A quel punto ho deciso di provare a sviluppare un mio discorso coreografico, prima, rimettendomi in gioco, e successivamente sono approdata anche all'insegnamento. La scelta di insegnare è nata proprio dal desiderio di misurarmi con altri danzatori, di creare, anche se solo per la lezione, del materiale coreografico sempre diverso, e non legato necessariamente a me, alla mia ricerca o progetto del momento, o alla mia fisicità. Nasce dal bisogno di un approccio più distaccato, di esplorare un aspetto più "artigianale" del lavoro, legato alla quotidianità del fare.
In che modo dà vita alle sue creazioni?
Non ho una regola. Per alcuni progetti parto da un'idea molto chiara, per esempio la ricerca su un personaggio: inizio a raccogliere materiali letterari e iconografici e a fare ricerca musicale fino a quando non trovo la musica che "riconosco", in cui sento racchiusi i contenuti e gli sviluppi per la mia idea coreografica. Per altre creazioni, invece, come per esempio il pezzo portato al Teatro Olimpico il 4 giugno scorso al Festival Ballet-ex, parto dalla musica: trovo un brano che mi piace, mi ispira, che mi dà delle suggestioni interpretative, una particolare atmosfera da esplorare, e quindi, tradotto in danza, è come se scaturissero spontaneamente determinati movimenti e passi, una certa dinamica, una certa modalità di movimento, un'attitudine fisica piuttosto di un'altra.
Quali sono le difficoltà che incontra nel portare avanti il suo messaggio creativo nella danza?
La difficoltà fondamentale risiede nel fatto che non ci sia lavoro, e questo va a colpire sia l'aspetto creativo, legato alla produzione di coreografie o spettacoli, che quello dell'insegnamento. Ragazzi anche molto talentuosi a un certo punto smettono, perché non vedono prospettive lavorative, e quindi le sale di danza, che dovrebbero essere un vivaio per i coreografi, languono. Di conseguenza il sistema implode, e chi vuole fare davvero questo mestiere, nella maggior parte dei casi, lascia l'Italia per andare all'estero.
A fronte di ciò, i pochi che coraggiosamente rimangono, anziché unirsi e sostenersi, decidono ognuno di aprire il proprio centro di formazione professionale, più o meno serio, senza rendersi conto che il mercato è saturo e l'offerta ormai supera la domanda.
Come vede la situazione della danza in Italia?
Vedo poca vivacità, in generale; e credo che questo dipenda in parte anche dalla fine della danza - chiamiamola - "televisiva", dei grandi TV shows. Anche se non è il mio genere, tuttavia riconosco che attraverso quel tipo di spettacoli, la danza, della bella danza, e dei ballerini eccellenti, entravano nelle case di tutti, per cui a livello diffuso, tutti avevano un'idea di cosa fosse la danza, oltre l'immaginario della ballerina classica sulle punte. Per non parlare dell'impatto mediatico che hanno avuto su più di una generazione film come Flashdance o Fame con tanto di successiva serie (solo per citarne due di quel periodo): opere che facevano sognare, che facevano sognare di diventare ballerini! Di conseguenza tantissimi bambini venivano iscritti ai corsi di danza, classica, jazz, modern, bambini che una volta più adulti, magari hanno scoperto che il loro percorso poteva proseguire nel neoclassico o nel contemporaneo, creando appunto una vivacità e una curiosità, che oggi mancano. Il massimo dell'aspirazione adesso (non per tutti, ovviamente) è entrare ad Amici!
Che cosa manca e cosa ci vorrebbe?
Manca la cultura della danza e soprattutto la sua diffusione, che dovrebbe partire dalle scuole dell'obbligo, visto che parliamo di un'arte. Purtroppo c'è stata una cultura televisiva degli ultimi anni che ha ridotto le ballerine a soubrette e i ballerini ad acrobati. Di contro, una certa cultura teatrale ha divulgato una danza cosiddetta di "ricerca" destinata a una piccolissima nicchia di addetti ai lavori. Ho trovato danzatori e coreografi migliori in alcune rassegne di alto livello destinate alle scuole, che in certi spettacoli o performance programmati da festival blasonati. La cosa assurda è che i pochi che non rientrano in nessuna delle due categorie, o sono realtà ormai consolidate da anni e anni, e internazionalmente riconosciute, oppure stentano a sopravvivere e a trovare uno spazio. La danza - di qualità - dovrebbe ricominciare a essere visibile nella cultura pop (che non significa trash): non solo nei teatri o durante i festival, dunque, ma tornare in televisione, al di fuori dei talent show, nei videoclip musicali, nelle produzioni cinematografiche, nella moda. A questo punto sì che ci sarebbe più lavoro per tutti. Quando parlo di cultura della danza, infine, intendo anche la cultura della sala, al di là dell'essere professionisti o meno, ma che consiste nel sentirsi parte di una comunità di privilegiati. Perché ballare è un privilegio.
Come donna pensa di avere più difficoltà nel far passare il suo messaggio pedagogico e artistico rispetto ai colleghi uomini?
Non ho mai ragionato in termini di uomo o donna. Il nostro è un lavoro difficile, a prescindere. In ogni caso, in questo momento della mia vita professionale, più che a far passare il mio messaggio, sono interessata a ritagliarmi il mio spazio per continuare a fare ciò che amo.
I suoi progetti per il futuro?
Da gennaio 2018 ho dato vita a un'associazione, che si chiama Extravaganza, con la quale ho realizzato già diversi progetti, tra cui la prima edizione, questa estate, del San Gemini Academy Festival, un piccolo festival di musica e danza. Per il futuro intendo sviluppare, dunque, quanto è appena nato con Extravaganza, nonché portare avanti delle collaborazioni molto belle con diversi artisti con cui da un po' di tempo ho il piacere e l'onore di collaborare. Poi ovviamente, c'è l'insegnamento che mi sta dando tante soddisfazioni, è che è il mio laboratorio di ricerca.
Il suo sogno nel cassetto?
I miei sogni in realtà si modulano anche in base a quello che mi offre la vita e le contingenze e rispetto al mio livello di consapevolezza, non solo personale, ma anche di ciò che succede intorno a me, delle possibilità reali. Sicuramente sto lavorando affinché germoglino i semini che sto gettando… fuori dal cassetto!
Vittoria Maniglio
Si forma come danzatrice a New York presso la Martha Graham School.Dal 2006 al 2009 danza ed è assistente della coreografa nella compagnia di danza contemporanea Cie Twain (RM).Da allora collabora come performer con videoartisti, musicisti, fotografi. In particolare ricorda Amy Greenfield, filmmaker americana pioniera della cinedanza, con la quale collabora dal 2008 al 2010, per diversi progetti, fotografici e video, tra cui il multimedia show “Club Midnight: Flesh into Light”, presentato a New York nel 2009 (Symphony Space on Broadway).Nel 2010/2011 approfondisce la sua ricerca su movimento, gesto espressivo e voce seguendo i workshop di Biomeccanica Teatrale con il Maestro Gennadi Bogdanov (GITIS, Mosca) e i laboratori di metodo Linklater tenuti da Susan Main (Actor’s Studio, New York).Nel 2011 viene selezionata da Jan Fabre a La Biennale Teatro (Venezia) per la messa in scena della performance “The Holy Gangster”.Nel 2012 si laurea con lode al DAMS di RomaTre in cinema e arti elettroniche."Mary full of grace" (2015) è il suo primo lavoro come coreografa. Il suo corto di cinedanza “Natività” viene presentato nell’edizione 2015 del RIFF (Rome Independent Film Festival).Nel 2018 fonda "Extravaganza", progetto di produzione e diffusione di danza contemporanea. Al centro della sua ricerca vi sono la sperimentazione e il dialogo della danza con le arti visive, la musica, la moda. Con “Extravaganza” ha già all’attivo tre produzioni, di cui una in progress, nonché la realizzazione del “San Gemini Academy Festival, un piccolo festival di musica e danza, che vuole focalizzarsi sopratutto sul contemporaneo e sui giovani. Dal 2017 insegna danza contemporanea allo IALS di Roma.